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Silvio Spaventa

Milano, Adelphi, 1969, Fuori collana
cm 23x14, pp. X-316-(2), 14 illustrazioni in b|n fuori testo, tela, sovracoperta illustrata
Unica edizione. Ottimo esemplare

€ 18
Intorno a Silvio Spaventa si è scritto pochissimo, benché la sua importanza come uno dei maggiori patrioti e uomini politici dell’Ottocento italiano sia incontestabile. E i motivi sono di per sé singolari. L’altezza del suo ingegno, l’intransigenza del suo carattere, il riserbo con cui seppe difendere la propria intimità sembra che abbiano trasmesso ai posteri la stessa soggezione che egli incuteva ai contemporanei; gli stessi suoi scritti, del resto, che col passar del tempo si sono rivelati sempre più importanti, sono così essenziali che scoraggiano amplificazioni e parafrasi. Tuttavia il suo autoritratto emerge vivo dal carteggio col fratello Bertrando, che è uno dei più begli epistolari del nostro secondo Ottocento. Questo autoritratto, fino ad alcuni anni fa integrato da una tradizione di ricordi e di aneddoti trasmessi dalla viva voce di testimoni, chiedeva ormai di essere fissato in una biografia, prima che molte notizie andassero disperse. Spaventa fu, tra l’altro, zio e tutore di Benedetto Croce, e l’autrice di questa biografia aveva quindi maggiore facilità di altri studiosi nella non sempre agevole ricerca di documenti, sui quali il suo lavoro, pure di proposito alleggerito di ogni apparato, è esclusivamente fondato. Silvio Spaventa è stato definito «il vero teorico dello Stato liberale in Italia»; questo giudizio, per quanto esatto sotto molti aspetti, non esaurisce tuttavia i motivi di interesse che si accentrano sulla figura storica di Spaventa, il quale non fu soltanto la «coscienza» del partito della Destra storica, ma esercitò un’influenza determinante, e diretta, sulla costruzione dello Stato italiano dopo il ’60. Educato allo studio della filosofia hegeliana, che l’intimo, ininterrotto dialogo col fratello Bertrando mantenne sempre viva, di questa formazione ritenne soprattutto una concezione elevata e intransigente dello Stato come organo supremo destinato a impersonare la coscienza direttiva della nazione. La sua vita fu tutta «pubblica»; nel senso antico della parola, e questa alta idealità dette una connotazione ben precisa all’intera sua attività politica, cominciata, del resto, in età giovanissima. A soli ventisei anni, nel 1848, Spaventa fondò a Napoli «Il Nazionale», che si rivelò fin dall’inizio come il giornale politico più notevole fra i molti che a quel tempo fiorirono nelle province meridionali e, subito dopo la sua soppressione, insieme col Settembrini e l’Agresti, creò una società segreta per l’Unità italiana che aveva come programma la cacciata dei Borboni da Napoli e la diffusione dell’idea unitaria. Arrestato nel 1849, fu condannato a morte dopo un lungo processo e, essendogli stata commutata la pena in quella dell’ergastolo, relegato per più di sei durissimi anni nell’isola di Santo Stefano. Liberato nel 1859 in cambio dell’esilio perpetuo in America insieme con alcuni fra i più illustri patrioti meridionali, durante il viaggio riuscì a farsi sbarcare coi compagni in Irlanda, da dove passò a Londra per tornare ben presto in Italia. Inviato a Napoli dal governo piemontese perché, prima dell’arrivo di Garibaldi, si preparasse l’annessione del regno delle Due Sicilie al Piemonte, ebbe nella Luogotenenza napoletana l’incarico di consigliere per l’Interno e la Polizia, rendendosi celebre per la sua lotta a fondo contro la camorra. Deputato al Parlamento italiano, quasi ininterrottamente, dal 1861 al 1889, fu segretario generale al ministero dell’Interno nel gabinetto Farini-Minghetti del 1863-64, consigliere di Stato nel ’68 e ministro dei Lavori Pubblici dal 1873 al 1876; in questi incarichi svolse un lavoro enorme, dando di sé un esempio eccezionale di coerenza politica, di coraggio fisico e morale, di dominio completo degli ardui problemi che si trovò ad affrontare. Una coscienza critica di prim’ordine e il suo totale disinteresse personale lo misero spesso in contrasto con gli esponenti del suo stesso partito: sintomatico resta il fatto che proprio sulla grave questione del riscatto ed esercizio statale delle ferrovie, da lui difesi con appassionata intransigenza contro gli interessi capitalistici del gruppo dei moderati toscani, si infranse e cadde l’ultimo governo della Destra storica. Senatore del regno dal 1889, fu nominato in quello stesso anno presidente della IV sezione del Consiglio di Stato, da lui a lungo caldeggiata, quale organo della giustizia amministrativa. E alla battaglia per la giustizia nell’amministrazione contro il monopolio politico del partito al governo e per una concreta attuazione dello Stato di diritto, è legato soprattutto il suo nome e si ricollegano i suoi scritti e discorsi più memorabili.

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